INTERVISTA AD ANDREA FERRONI

Verso la fine di questo vibro-viaggio non potevo che fermarmi a Torino da Andrea Ferroni. Andrea è senza dubbio uno degli artisti più conosciuti a livello europeo, merito, soprattutto, della sua passione e dedizione verso lo strumento che lo ha portato in breve tempo a proporsi nei festival più importanti d’ Europa. La biografia è ricca di innumerevoli progetti e iniziative a partire dal suo primo cd prodotto a soli 2 anni di pratica dello strumento. Molte delle attività si possono collocare dopo il 2004 con la fondazione dell’associazione culturale Yidaki con la quale, oltre a promuovere il didgeridoo e la cultura aborigena in campo nazionale e internazionale , produrre cd, libri e progetti di altro genere, nasce il forum che attualmente conta quasi 700 iscritti, punto di riferimento italiano dal suonatore neofita al professionista. Ad oggi nella sua carriera figurano:

5 cd, “Noises & Voices” (2004), “Tribal Revolution” (2005), “Breaking Through” (2006), “Ritratto” (2007), “Windproject 2008”; alcune collaborazioni come la Compilation.Didgeridoo.IT; la pubblicazione di un libro ( The didgeridoo discovery); alcune interviste radiofoniche e televisive (2003 durante la trasmissione ‘Alle falde del Kilimangiaro’ su RAI3) e molto altro ancora. 
Particolarmente apprezzati i suoi strumenti con il marchio Windproject divenuto negli anni sinonimo di garanzia e qualità. 

Per approfondimenti: www.andreaferroni.it – www.windproject.it  

Vincenzo:Considerati tutti i progetti che porti avanti la prima domanda viene quasi spontanea: Come riesci a conciliare il lavoro con tutto il resto? 

Andrea: Certo non è semplice, soprattutto considerando anche la mole di studi che sto portando avanti.

Dopo tre anni dedicati al sassofono, attualmente sto studiando chitarra, batteria, armonia e sto seguendo il terzo anno di musicoterapia.

Fortunatamente tutte le attività lavorative e formative che sto seguendo sono spesso complementari o, nel corso degli anni, hanno dato stimoli e risultati vicendevolmente.

Gli studi tecnici mi sono stati molto utili per imparare a suonare lo strumento, per imparare a costruirli, per insegnare. Discriminare e selezionare gli aspetti fondamentali di ciò che si intende apprendere è necessario per chi segue studi da autodidatta in settori poco battuti, non meno importante, avere degli strumenti musicali adeguati a ciò che si suona è fondamentale per ogni musicista di ogni genere musicale.

Uno strumento con dei limiti, limita anche l’esecuzione e l’apprendimento.

Dal 2002, a partire dalle mie basi, ho proseguito i miei studi tecnici nel campo dell’acustica, sia per quanto riguarda la produzione sonora, sia per il trattamento acustico ambientale. Ovviamente avendo la necessità di sperimentare in modo estremamente pratico, tutto risulta divertente e stimolante. Ho inoltre utilizzato queste conoscenze per migliorare il mio modo di suonare anche in relazione alla strumentazione di amplificazione, di registrazione e ai metodi di produzione musicale in modo da ridurre al minimo l’utilizzo di elettronica in fase di post produzione.

Attualmente i miei studi più personali su canne e cavità risonanti hanno trovato sfogo anche all’interno dell’ufficio di ingegneria in cui lavoro per il calcolo di intonazioni e armoniche tipici di sistemi acustici tipici di strumenti musicali che sono del tutto simili a parti di motore per autoveicoli.

Quando si hanno molte idee da sviluppare, ciò che è più difficile è accettare di avere giornate da 24 ore e anni da 365 giorni.

Inoltre esiste una vita privata che ha più necessità e difficoltà di conciliarsi con i miei impegni.

Vincenzo:Tra le tue tante attività c’è quella di insegnante, hai un consiglio da dare a chi inizia ora il cammino di studio del didgeridoo? 

Andrea:Di certo è importante applicarsi con dedizione e costanza. Talvolta la passione può venir meno in una condizione di stallo proprio quando nulla sembra muoversi verso un miglioramento.

In questo caso il consiglio migliore è quello di muoversi, andare a visitare qualche festival. Potrebbe essere utile per vedere qualcosa di nuovo, stringere nuovi legami, scoprire che si è in tanti in situazioni simili e che si può crescere ascoltando.

Oppure un workshop mirato può tornare sempre utile.

Vincenzo:Tutti i giovedì sera (da 6 anni) la tua scuola di didgeridoo è aperta; se dovessi raccontare qualcosa su questa esperienza cosa diresti? 

Andrea:Che impegno! Ma è un progetto vincente. Non tanto per le lezioni settimanali, quanto per l’interesse generale e le attività collaterali del progetto.

Innanzi tutto lo sviluppo di un metodo per didgeridoo semplicemente in linea con i programmi di qualsiasi altro strumento musicale.

Inoltre, a differenza di quanto accade normalmente, vi è una notevole apertura a ciò che accade in ambito musicale in Europa e nel mondo. Quindi il metodo d’insegnamento prevede, come ascolto e come studio, anche tecniche sviluppate da altri musicisti.

La scuola ha il vanto di aver raccolto l’interesse di molti musicisti, a volte di fama internazionale, che hanno frequentano varie attività. Ma anche allievi di tutta Europa per iniziative come i Workshop residenziali di due o tre giorni, i corsi di costruzione strumenti, i corsi per insegnare, i corsi per home recording.

Appare ovvio che, a causa di tutto questo interesse, la scuola ed il metodo sono stati spesso imitati in modo poco intelligente da persone poco originali.

Vincenzo:Vista la tua attiva partecipazione a festival europei , quali differenze hai riscontrato a livello sia organizzativo sia artistico rispetto a quelli italiani? 

Andrea:Certamente ci sono differenze. C’è il mega festival francese in cui gli organizzatori sono decisamente numerosi. C’è da gestire decine di banchi di strumenti, centinaia di tende al campeggio ed un pubblico che arriva a 5000 spettatori al giorno! Poi quello più sobrio tedesco che è maggiormente dedicato ai workshop, quello familiare che organizziamo a scalenghe. Quello elegante di Forlimpopoli, quello giovane di Cividale. Con un po’ di nostalgia ripenso però ai festival come lo Swizzeridoo, il Dreamtime Berlin, il Didjefest di Pinerolo che hanno aperto questa lungo decennio di eventi.

Ma tutti sono accomunati dalla passione degli organizzatori. Temo che nessun organizzatore si sia arricchito o abbia guadagnato da queste situazioni e, pensando al lavoro che c’è dietro, consiglierei a tutti di supportarli con la vostra presenza durante i concerti.

Dal punto di vista artistico, oramai siamo molto simili al resto d’Europa.

Vincenzo:Qual è a tuo parere il paese europeo dove attualmente il didgeridoo è maggiormente conosciuto e suonato? 

Andrea:La Germania ed i paesi di lingua tedesca. In qui il numero di appassionati mi sembra elevato, al pari della Francia. Tuttavia in Germania, Austria e Svizzera si sono avuti numerosi musicisti dalle notevoli capacità espressive, tecniche e musicali. Hanno, primi tra gli altri paesi, iniziato a dare stimoli importanti per una crescita del didgeridoo contemporaneo oltre a quello tradizionale.

L’Italia invece, almeno a numeri è molto indietro. Attualmente i migliori suonatori Italiani, magari di riflesso ed in modo magari inconsapevole, hanno solo colto alcuni degli aspetti di questo strumento partendo proprio dalla scuola del nord Europa. Tanto è vero che incontrare musicisti italiani in un festival Europeo è assai raro. Ancora più raro è trovare qualche aspetto di novità e innovazione nel nostro paese.

Vincenzo:Il tuo stile musicale è caratterizzato da una costante ricerca di originalità, non hai timore che la creatività “innovativa” possa esaurirsi o comunque perdere di qualità? 

Andrea:Certamente. È proprio questo dubbio, oltre al timore della monotonia di un repertorio invariato nel tempo che mi stimola a ricercare elementi sempre nuovi. In principio ho cercato di allargare le mie conoscenze studiando ed analizzando altri suonatori di didgeridoo. L’attuale situazione discografica e la minor presenza di brillanti esordienti non rende più possibile questa modalità di studio.

Ho comunque continuato a rivolgermi verso altri settori della musica sperimentale, contemporanea, etnica e popolare e, in questo caso, devo ammettere che il materiale è letteralmente inesauribile. A volte è sufficiente vedere o ascoltare un altro musicista per avere un nuovo lampo di genio.

Questo aspetto della contaminazione mi affascina così tanto che, probabilmente, la mia tesi di musicoterapia sarà incentrata su questo tema.

Vincenzo:Recentemente hai creato l’ Yidaki players band, questa iniziativa è legata al tuo percorso formativo in musicoterapia? 

Andrea:Solo parzialmente. In realtà, per esperienza, so che è fondamentale un gruppo musicale per poter crescere velocemente sfruttando i sani aspetti di competizione e aiuto reciproco che sono tipici del gioco. Io stesso devo rendere grazie al Wetonton didjeridu club (organizzatore del festival di Pinerolo) con cui ho imparato moltissimo per imitazione e mi ha dato la possibilità di vedere lontano.

Vincenzo:La relativa facilità con cui si apprende a suonare il didgeridoo ha portato alla smisurata produzione di cd a volte di pessima qualità sia artistica sia tecnica (mi vengono in mente i “tappetoni “ new age). Qual è la differenza tra un didj player, un musicista e un semplice appassionato? 

Andrea:Questa domanda apre a numerosi aspetti. Il primo, quello della musica lenta, da cui sto accuratamente lontano dato che fare musica lenta, efficace, coinvolgente e piacevole è davvero complesso tanto che, per essere venduta, viene spesso avvolta da aloni mistici che “personalmente” trovo privi di significato o, a fini commerciali viene copia-incollato magari un aborigeno inconsapevole in copertina. Fortunatamente ce ne sono sempre meno.

Poi l’aspetto “professionale”. Intanto mi auguro che un suonatore ed un musicista abbiano entrambi passione. Il musicista invece (se si intende per musicista la figura professionale) dovrà avere probabilmente ancora più passione. Gli dovrà essere di aiuto nella gestione delle pubbliche relazioni, dell’organizzazione e della burocrazia (commercialista, siae, siti internet, trasporti, promozione, ecc) tutti temi che con l’arte hanno poco a che fare ma che un professionista, nel termine stretto del termine, deve conoscere.

Vincenzo:Hai recentemente sperimentato la costruzione di strumenti in vetroresina “smontabili” con lunghezze superiori hai 2-3 metri. Sicuramente artisti come Dubravko Lapaine e Ondrej Smeykal hanno contribuito all’aumento della richiesta commerciale da parte degli appassionati dei cosiddetti “deep instruments”, quali sono le tue impressioni relative alle caratteristiche tecniche di questi strumenti? 

Andrea:Gli strumenti divisi in due o più parti era un’idea che avevo da tempo. Viaggiare in treno o aereo con cinque didgeridoo è abbastanza noioso e può creare “ansia”. Avete mai lasciato i vostri bagagli allo sportello “odd size luggage” di un qualsiasi aeroporto?

A breve i miei strumenti staranno tutti in una valigetta più corta di un metro.

Ovvio che ciò che vale per strumenti standard è ancora più utile per i didgeridoo extra lunghi.

Riguardo gli aspetti musicali, in passato non credevo ad una potenziale evoluzione di questi didgeridoo. Il timbro di strumenti molto bassi è potenzialmente ricchissimo ma, per contro, scarsamente dinamico. Bisogna inoltre tener conto che un timbro così ricco è anche controproducente per i neofiti che, tra la scarsa dinamica e un bordone troppo presente, non potranno far emergere con semplicità armonici, ritmi, ecc.

Potrei dire che in passato, il fascino estetico fosse di gran lunga superiore all’aspetto musicale.

Oggi invece io stesso ho sperimentato qualche tecnica adeguata a questo tipo di strumento partendo dall’overdrive. Mi aspetto ancora innovazione in questo campo.

Del resto la contaminazione tra musicisti è ciò che ha storicamente mosso la musica di tutto il mondo.

Vincenzo:Il decennio che si sta concludendo ha conosciuto uno sviluppo esponenziale del didgeridoo in Italia, questo ha comportato, da parte degli artisti, l’impegno alla divulgazione delle tecniche e della storia dello strumento. Oggi, forse, alle porte del nuovo decennio, la scommessa sarà riuscire ad inserire il didgeridoo in contesti musicali alla portata di tutti. Cosa ne pensi? 

Andrea:In parte l’Yidaki Compilation (progetto internazionale) e Didgeridoo Made in Italy (progetto nostrano) hanno in parte evidenziato come il didgeridoo si possa accostare a molti generi. Attualmente esistono già diverse situazioni in ambito della musica rock, pop, classica, heavy metal, disco, techno, hard core, new age, ambient, contemporanea, ecc. In alcuni casi si tratta di unicità, ma di certo questa è la strada. Poi, per gli appassionati, credo non mancheranno mai i CD di didgeridoo solo.

Vincenzo: Grazie per la disponibilità, spero ci rincontreremo presto. Vincenzo. 

Andrea:Grazie a te per aver colto l’occasione di questo spazio, per aver dedicato il tuo tempo a favore di molti musicisti e di molti più ascoltatori e lettori.

Lo apprezzo moltissimo proprio perché io stesso ho dedicato molti anni alla divulgazione teorica musicale dello strumento e la promozione dei principali attori della scena italiana attraverso molti canali come la già citata Yidaki Compilation ma anche “Didgeridoo.Compilation.IT”, sul mio libro “Didgeridoo Discovery”, su articoli scritti per la rivista “Didgeridoo Magazine”.

Questa è la prima intervista che ricevo in Italia. 🙂 Grazie ancora, a presto

Andrea Ferroni

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