INTERVISTA AD ANDREA FERRONI 2

Questa intervista è stata realizzata per la Tesi di Laurea di Federica Omini. A fondo pagina il link per leggere la Tesi integrale

Andrea, qual è stato il tuo primo contatto con il didjeridoo? 

È stata una pura casualità. Un’associazione di cui entrai a far parte in seguito, organizzo il primo festival del didgeridoo in Italia a 3 km da casa dei miei genitori. Vidi una marea di gente proveniente da tutta Europa e rimasi davvero sorpreso.

 

Qual è stata la tua prima impressione su questo strumento? 

Certamente il suono è accattivante, profondo, caldo, avvolgente. Ne rimasi semplicemente incuriosito, era così strano per le mie orecchie che non riuscivo a capire come si potesse produrre quel ronzio. Sono fondamentalmente un tecnico, per cui, la cosa che mi interessò di più fu il suo funzionamento invece della musica. A mia discolpa devo dire che i suonatori all’esterno del palazzetto erano quasi tutti principianti che suonavano tra di loro… per cui, oltre il grandissimo entusiasmo che avrebbe notato chiunque, la loro musica non era nulla di memorabile.

Cosa ti ha spinto a volere imparare a suonarlo?

Sono curioso e provo un po’ di tutto. Ammetto che trovare un didgeridoo a 12 mila lire sullo scaffale di un ipermercato alcuni mesi dopo questo festival, fu un buon incentivo. Acquistai un CD pessimo che trovai in un fai da te e cominciai a suonare da autodidatta. Qualcosa mi riuscì discretamente, quindi mi appassionai velocemente.

Quando e dove hai cominciato? Da chi hai appreso la tecnica? 

La mia prima lezione di didgeridoo è stata senza dubbio l’ascolto di musica di vari generi in età adolescenziale. Questa ha formato me e la mia musica in modo importante. Da subito, infatti, i miei brani hanno avuto un’impronta musicale di stampo occidentale caratterizzato da una struttura riconoscibile (con l’utilizzo di introduzione o esposizione del tema, variazione del tema, strofe o ritornelli). Riguardo la tecnica, il primo suono l’ho fatto all’interno del supermercato. Per pura fortuna ci soffiai dentro ed il suono partii. Lo acquistai e suonai alcune settimane da solo a casa. Imparai la respirazione circolare, di cui avevo letto in un libro di musica delle medie, poi, d’istinto, tentai di fare dei ritmi e delle variazioni timbriche.

Successivamente contattai gli organizzatori del festival con grande fatica. Una volta agganciati, li frequentai collaborando. Si suonava spesso e quindi, per imitazione, imparai altri dettagli.

Un anno dopo il primo suono, con un membro della stessa associazione, partecipai ad un ritiro di 5 giorni in Spagna in cui vi erano 4 insegnanti internazionali: Ansgar Stein, Matthias Mueller, Lies Bejirinck, Michael Jackson.

Grazie alla mia grande carica emotiva, tornato a casa registrai il primo CD demo che mi permise, dall’anno successivo, di suonare nei principali festival europei e di confrontarmi con loro e, di conseguenza, imparare ancora molto.

Ovviamente ci sono stati altri momenti legati all’apprendimento musicale in generale. Il didgeridoo mi ha fatto prendere maggior coscienza sulla musica, le potenzialità e, soprattutto, sviluppare quelle minime capacità analitiche per comprendere meglio questa arte. Ho quindi studiato solfeggio per arrivare allo studio dell’armonia. Grande importanza lo ha avuto il triennio di musicoterapia che ho seguito a Torino. Al contempo ho studiato chitarra jazz, sax, batteria.

Credo che tutto questo insieme sia stato fondamentale per sviluppare la mia musica.

Chi sono i tuoi artisti preferiti? 

Ne ho tanti, troppi forse. Quelli a cui sono più legato sono i musicisti che hanno dato il via al movimento del didgeridoo in Europa, gli stessi con cui ho suonato nei festival.

Mentre nel jazz la maggior parte degli artisti ispiratori sono ormai purtroppo defunti, nel didgeridoo la maggior parte sono fortunatamente vivi e attivi.

Ricordo con piacere i miei insegnanti, già citati in precedenza. Ma potrei ancora citare Denra Duerr, Svizzero, il primo suonatore che ho avuto il piacere di ascoltare dal vivo, Ali Andress, austriaco, Mark Atkins metà irlandese, metà aborigeno.

Ma forse, tra tutti, il mio preferito rimane Ansgar Stein, tedesco, un ragazzo umile e gentile, credo addirittura sottovalutato, con cui ho collaborato e collaboro ancora moltissimo e che considero ormai come una persona di famiglia.

Da quanti anni suoni questo strumento? 

13 anni.

Come ti sembra abbia reagito il popolo italiano all’introduzione e diffusione di questo strumento? 

La domanda richiederebbe una risposta davvero ampia. Tuttavia, impegnandomi su molti fronti, musicali e non, trovo che anche il didgeridoo sia uno strumento che affascina molti per fatti tangibili (godibilità musicale, caratteristiche del suono, provenienza dello strumento e relativa cultura) ma talvolta è disprezzato da alcuni (che non riescono a cogliere gli aspetti precedentemente citati).

Ma anche all’interno di chi apprezza si potrebbero cogliere aspetti deviati. Chi apprezza la cultura aborigena, ad esempio, la conosce realmente? L’ha studiata, visitata o ne ha appreso un minimo in qual si voglia modo? Oppure sta semplicemente mitizzando un popolo esotico che non conosce?

Ad ogni modo, oggi il didgeridoo è molto conosciuto, più di quanto si creda. Magari ciò che si sa è ridotto a poche nozioni ma è pur sempre vero che, chiedendo ad un gruppo di persone, che forma abbia un didgeridoo, in molti daranno una risposta corretta.

se allo stesso gruppo chiedessimo, che forma ha un oboe o un corno inglese, in molti rimarranno interdetti. Eppure questi ultimi fanno parte della nostra cultura.

In che fascia di età sono comprese le persone che frequentano i tuoi corsi? Trovi che siano maggiormente interessati i giovani? 

Non c’è né una fascia di età tipica ne culturale o di ceto. Forse c’è qualche giovane in più per il semplice fatto che da giovani si ha maggior disponibilità di tempo.

Considerando che il didjeridoo è lo strumento sacro degli aborigeni australiani, ti sei mai avvicinato alla loro storia, arte e cultura? 

In che modo? (Studio sul campo, ricerche sul web, libri e documenti…) 

Certamente ho cercato di comprenderne alcune sfaccettature. Il primo approccio, cercando qualcosa di leggero, fu “Le vie dei canti” di B. Chatwin, lo consiglierei ancora oggi. Esistono comunque film interessanti per aiutarci ad intuire cosa vi sia dietro questa cultura così diversa dalla nostra. Sulla storia e sul legame con la terra suggerirei “La generazione rubata”, non tanto per il film che comunque è bello ed interessante ed ha vinto la palma d’oro al festival di Cannes, ma soprattutto per i contenuti speciali che si trovano nel film in versione DVD “10 Canoe”. Anche il filma “Australia” con Nicole Kidman, se si conosce la cultura aborigena può ritrovarci all’interno del film alcuni dettagli che molti altri perderebbero.

Sempre girando tra i festival, mi è capitato di assistere a proiezioni di film rari, spesso in bianco e nero, talvolta addirittura muti, di registrazioni sul campo che descrivevano la vita, le necessità e le attività di questo popolo.

Alcuni custodi della tradizione (così vengono definiti) o più semplicemente artisti internazionali del didgeridoo o di altre arti tradizionali come la pittura, li ho potuti vedere e conoscere di persona. Ma è stato solo quando c’è stata una reale opportunità di vivere assieme che ho relazionato con loro. Infatti, per grande pudore, pur avendo la possibilità, spesso non mi sono mosso nemmeno per stringere loro la mano. Fare la coda per un autografo o per salutare chi comunque consideravo un mito, l’ho sempre trovato stupido. A maggior ragione per chi, come loro, non credo vedano di buon occhio questo genere di cose. Semplicemente credo non ne vedano il senso.

Diverso fu il caso di Alan Dargin, che fu anche mio insegnante e che, per una serie di coincidenze, incontrai per due anni consecutivi in ogni festival che visitai e che frequentai quasi tutti i giorni per una settimana sia di giorno che di notte.

avrei ore di aneddoti da raccontare.

Hai mai pensato che suonare e diffondere l’utilizzo di questo strumento in un contesto differente da quello in cui è nato, possa minare o risultare un’offesa alle tradizioni aborigene? 

Certo, le domande è indispensabile farsele.

Ciò che faccio non credo possa considerarsi un’offesa. Utilizzo un loro strumento nel mio contesto culturale. Cerco di farlo al meglio e dedico moltissime ore della mia vita a studiare uno strumento apparentemente semplice ma infinitamente complesso nella realtà.

Il didgeridoo è uno dei pochissimi strumenti così tanto personalizzabile nel timbro e in vari aspetti acustici. Solo la chitarra potrebbe fare meglio con l’ausilio dell’elettronica.

Quindi, lo tratto e ne divulgo la conoscenza con attenzione (tralascerei la parola rispetto perché è tanto facile da pronunciare ma al contempo difficile da portare).

Cerco di incuriosire la gente senza fare proselitismo. I più curiosi potranno fare ricerche e conoscere meglio questo popolo.

A lcontrario, so per esperienza e per studi fatti in MT, quanto l’imitazione reiterata possa generare fastidio e possa considerarsi offensiva sotto molti aspetti.

Imitare un polo, le loro musiche, magari accennando a canti di cui non se ne conosce il senso, credo che possa essere addirittura più lesivo ed irritante ai loro occhi. E’ esistito un caso di lamentela in questo senso che però, tralascerò.

Sai che reazioni ha avuto il popolo aborigeno? 

Considerate le loro presenze nei vari festival del mondo, il loro canali di vendita strumenti ed arte su internet ed in importanti gallerie, il loro canale youtube con centinaia di video e milioni di click: https://www.youtube.com/channel/UCzteg6KPi_gy8HEbPHPHH-g  direi che vedono molto bene il nostro interesse. Semmai mi è parso di capire che la loro gioventù sia anche molto più affascinata dalla cultura occidentale e temono per la scomparsa delle loro tradizioni. Questo ultimo aspetto credo sia più doloroso e lo possiamo capire meglio.

I tuoi allievi sono in genere interessati a suonare unicamente lo strumento, o nutrono e scoprono un profondo interesse anche per la cultura aborigena? 

Ammetto che in passato gli studenti erano più attratti dalla cultura rispetto ad oggi. Ma ancora di più gli stessi appassionati che nutrivano un amore estremo verso il tradizionale, si sono persi per strada. Però, allo stesso, modo mi chiedo quanti chitarristi conoscano la storia della chitarra. Certo è che, chi passa da me, qualche ascolto di musica tradizionale, contestualizzata e spiegata in modo da darne facile comprensione, lo fa.

Come e quanto ti ha arricchito l’Yidaki e la cultura aborigena? 

Questa è una domanda davvero complessa. Ognuno che suoni direbbe: “tantissimo”. Quindi lascio decidere a te. Grazie a questo strumento, in 12 anni ho visitato luoghi che difficilmente avrei potuto conoscere altrimenti. Ho spesso preso giorni di ferie ma ho anche sfruttato la licenza matrimoniale per i miei tour. Così, con mia moglie abbiamo visitato l’Europa dalla Sicilia all’Inghilterra, dal Portogallo all’Ungheria. Abbiamo conosciuto diverse culture di cui abbiamo cercato di coglierne più aspetti possibili.

Ho iniziato a costruire strumenti principalmente per me, poi, incuriosito, ho studiato quel minimo di acustica da autodidatta. Sono riuscito a collaborare con le università in questo settore ed oggi lavoro, grazie a ciò, in uno studio di ingegneria in ambito acustica e vibrazioni. Molti dei miei musicisti preferiti e dei miei ex insegnanti possiedono un mio strumento. Gli stessi strumenti sono conosciuti un po’ in tutto il mondo es ono guardati con discreto rispetto. Anche Alan Dargin, ne trovò uno a casa di un amico comune e decise di suonarlo per un concerto.

Il didgeridoo mi ha avvicinato alla musicoterapia che mi ha dato molte conoscenze in più a livello musicale ma soprattutto in ambito relazionale (tema che dovrebbe essere obbligatorio per qualsiasi insegnante di musica e di arti in generale).

A volte il didgeridoo mi ha fatto vivere alcune frustrazioni da parte di alcune persone con cui collaboravo… ma anche ciò fa parte della crescita personale.

Il didgeridoo mi ha insegnato un metodo che ormai utilizzo come universale per apporcciarmi ad altre arti o attività varie. Così come ho imparato velocemente nel didgeridoo, allo stesso modo o anche più rapidamente imparo in altre attività.

Per concludere, oggi vivo nella ex sede dell’associazione che organizzò il primo festival del didgeridoo, proprio quello che mi permise questo cammino.

Pensi che ci sia maggiore coscienza verso la tradizione aborigena e verso le loro usanze rispetto al decennio scorso? 

Non credo di avere un buon metro per misurare ciò. Tuttavia direi che, forse l’interesse globale è diminuito. Per contro è aumentata molto la qualità degli interessati e delle informazioni.

In passato trovare informazioni di scarsa qualità era all’ordine del giorno. Oggi lo è molto meno.

Dal mio punto di vista credo che sia meglio oggi. Persone follemente innamorate ma con poco grado di giudizio … al punto da inventare o alimentare leggende metropolitane di pessimo gusto, non credo aiutino la causa.

Federica Omini Tesi di Laurea integrale QUI

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