RECENSIONE FESTIVAL “LE RÊVE DE L’ABORIGENE”

Appena tornato dal Festival le Rêve de l’Aborigene ho pensato di scrivere una recensione di quello che ho visto, sentito ed ascoltato. Dopo un viaggio di circa 10 ore in macchina da Torino, siamo finalmente arrivati al festival Le Reve de L’Aborigene, ad Airvault, un comune francese sperduto nell’ovest della Francia. All’arrivo è reso disponibile un grande parcheggio ricavato evidentemente da un campo di coltura, il che, se piove, rischia di rendere molto difficoltosa la partenza per via del fango.

Per ragioni di sicurezza, filosofia e rispetto della cultura aborigena, è vietata la vendita ed il consumo di alcolici nell’area del festival, con relativi controlli degli zaini all’entrata.
Esiste la possibilità di comprare biglietti (braccialetti) a seconda del numero di giorni che si intende restare, con relativi prezzi. (40 euro per 3 giorni, con partenza il quarto).

La vera zona del festival è situata all’interno di un enorme parco pubblico, nel quale si possono individuare 4 zone principali: campeggio, bancarelle di cibo, vestiti, strumenti musicali etc., la zona dei palchi e un altro campeggio in stile “locus amoenus” e meno “tendopoli”, raggiungibile dopo una breve camminata per la foresta e situato sul bordo di un fiume balneabile a discrezione.

Una volta giunti all’interno, sembra davvero di essere catapultati in un piccolo villaggio di hippies e artigiani, tra una bancarella e l’altra si alternano tende arabe che ospitano grandi bevute di tè di ogni genere e intensive jam session, il più delle volte con musicisti capaci e ascoltatori attenti.
Le bancarelle di ogni genere (gastronomia, scultura, liuteria, cianfrusaglie etc) la cucina autogestita, i laboratori artigianali del legno, ferro e pietra danno davvero l’idea di star vivendo all’interno di un piccolo villaggio fuori dal tempo e lo spazio.

La giornata viene scandita dai concerti durante tutto il giorno e sino a tarda notte, anche se quest’anno la pioggia ha causato un paio di problemi, come l’interruzione del concerto dei Matsumotu Zoku per motivi di sicurezza (che è stato prontamente recuperato il giorno dopo) e lo spostamento degli orari di alcuni concerti.
Sfortunatamente però, la scaletta dei concerti ci è sembrata un po’ confusionaria, non sempre rispettata e non comprendente effettivamente tutte le esibizioni.

Oltre ai due palchi principali e la possibilità di suonare virtualmente ovunque, è stato reso disponibile anche un palco aperto per chiunque avesse avuto piacere ad esibirsi con una buona amplificazione.

I sistemi di amplificazione dei palchi erano molto buoni, pensati e sfruttati al meglio da gente capace e attenta, il sistema di illuminazione gestito molto bene, che riflettendosi sugli alberi secolari dietro il palco riusciva a creare un’atmosfera perfetta per ogni esibizione.
Abbiamo potuto ammirare un sacco di musicisti (in ordine sparso), famosi e non, come Lies Beijerinck in una combo ambient didge / bansuri (Sanzus) insieme ad una breve esibizione del figlio di Al*n Da**in, Yuva, i Matsumoto Zoku, che senza ombra di dubbio hanno riscosso un successo strepitoso, riuscendo a suonare durante tutte le sere del festival, il duo Zalem e Adele, con improvvisazione finale che ha visto aggiungersi sul palco gli Zoku e il polistrumentista Axel Lecourt, che con il suo flauto pigmeo è riuscito a creare una melodia che è diventata presto un tormentone.
Ho assistito anche all’esibizione dei Violons Barbares, connubio fra percussioni, vari stili di canto armonico mongolo, morin khuur e lo stranissimo gadulka, gli italianissimi Ying2Yang che hanno scatenato la folla così tanto da farsi richiedere più di un brano aggiuntivo rispetto al classico bis, Die 3 Herren, con la partecipazione di Ansgar Manuel Stein (Ansgario per gli amici) in un’esibizione esplosiva dai ritmi serrati e “oldschool” didge, il vincitore del constest francese Didg to Didg “Kid”, i Burkina Azza, e il non proprio tradizionale gruppo dei Bundjalung Kunjiel.
Altri artisti che hanno partecipato ma a cui non ho assistito sono: Cephalodidg, TurbodZen, Zinédagui, Los monkys, C. Etoile de mer, Nostoc, PranaVibes, La p’tite Fumée, Fabien Zarka, Othello Ravez Trio, Awaké la tribu.

Un piccolo parere personale sui concerti a cui ho assistito:
Lies, nei Sanzus, ha puntato tutto sull’ambient che, semplicemente, non mi piace.
Comunque sono stati capaci di creare un’ottima atmosfera, sarebbe stato meglio se avessero suonato verso sera, per raggiungere l’apice del tutto, ma comunque una combo ben riuscita, non la solita linearità, anche se qualcuno del pubblico, più per noia che per meditazione, si è addormentato nel prato alla secondo pezzo.
Yuva a quanto pare ha 16 anni ed è salito su per una brevissima esecuzione sotto lo sguardo attento e felice di Lies, a parte qualche piccolissimo errore dovuto probabilmente dall’ansia da palcoscenico, ha dimostrato di essere un piccolo talento nascente, vedremo fra qualche anno!
Gli Zoku già li conoscevo e mi sono piaciuti veramente un sacco, le macchine immaginarie di Reo piene di leve e potenziometri sono stupende mentre Koji, con il didgeridoo, è in grado di una versatilità molto alta, unica pecca è l’ Echosound, ottimo strumento, ma amplificato male e di conseguenza spesso non si è riuscito a cogliere il vero timbro dello strumento o la reale dinamica dell’esecuzione, ciò non toglie nulla alle esibizioni che sono riuscite veramente bene.
I Violons Barbares mi hanno dato i brividi lungo tutta la schiena, simpatici e in grado di far scatenare, ho apprezzato tantissimo l’esibizione solista Dandarvaanchig Enkhjargal, capace di un estensione vocale altissima e di una tecnica formidabile nei diversi tipi di canto armonico (Tuva, Kargyraa e un altro che non consco).
A dispetto del mito, non ho apprezzato il duo Zalem e Adele, la didgeridoo beatbox mi va giù a fatica a parte per pochissimi suonatori (tra i quali William Goldschmit).
Un’esibizione carica, potente, coreografica, accattivante, diversi stili e apprezzata tantissimo dal pubblico, ma il livello di tamaraggine è troppo alto per i miei gusti.
Invece, l’improvvisazione finale che ha visto salire sul palco gli Zoku e Lecourt è stata molto bella.
Sono stati in grado di improvvisare diverse scene, tra cui una battaglia fra Reo e Zalem (spettacolare) e una successiva alleanza fra quest’ultimi contro Koji e Adele.
Lecourt mi ha cambiato la vita per sempre con il suo flauto pigmeo, ormai il buffo motivetto groovy non riesce più ad uscirmi dalla testa.
Sfortunatamente Adele si è trovata molto in difficoltà nell’improvvisazione di gruppo, con un conseguente abbassamento del mood generale del pubblico.
Ha provato a rimediare cambiando da didgeridoo a morchang, ma limitandosi a qualche suono giusto sulle quarte battute, parlando con la gente ho ricevuto commenti un po’ acidi sulla sua scarsa tecnica.
Personalmente non non mi va di fare commenti tecnici, dico solo che mi è dispiaciuto molto per lei, sicuramente molto più riuscita la partecipazione con Zalem.
Gli Ying2Yang mi sono piaciuti molto anche se ho ascoltato solo la fine del concerto perchè siamo arrivati tardi.
L’aggiunta di un percussionista scatenato ha aiutato a scremare il suono denso di due didgeridoo, conferendo un carattere molto più ritmico e ballabile per il pubblico, ad una certa, stanchi e provati, sono riusciti comunque a portare a termine le danze sfrenate del pubblico.
Die 3 Herren mi sono piaciuti un sacco, capaci di generi completamente diversi (dalla tecno-didge al metal) mi hanno fatto scatenare, simpatici e bravissimi.
Unico problema è stata la tuba, che non si è sentita, ma è una colpa dei tecnici audio.
Kid, il vincitore del Didg to Didg, mi ha sorpreso:
Pensavo fosse la solita beatbox francese, invece no, è stato in grado di costruire ritmi molto complessi sfruttando la psicoacustica ma rimanendo sempre estremamente ballabile.
Un’ atteggiamento che mi è sembrato un po’ troppo sicuro di sé ma un ottimo musicista, si è meritato il posto in cui è arrivato.
Qui ora volano le critiche..
Bundjalung Kunjielm sarebbero un gruppo di musicisti (due suonatori e due ballerini) del clan Ukerabah della nazione Bundjalung, e a sentire uno del pubblico, avrebbero unito un sacco di stili tradizionali diversi di danza e musica (?) nella loro esibizione.
Nella biografia di Goompi Ugerabah si legge che è cresciuto nel South East Queensland (come tutti i suoi avi) e ha un sangue misto che spazia dalle isole di Lena, lo Sri Lanka, Irlanda, di padre Francese e madre Scozzese.
Sono convinto che non sia il sangue a fare un uomo ma la sua cultura, ma questi fatti uniti a tecniche di didgeridoo non tradizionali su strumenti non tradizionali, fanno pensare parecchio ad una trappola per turisti.
Opinione negativa anche da un famoso musicista che gli aveva già sentiti in anni passati, il pubblico divertito da un coinvolgimento in stile “Mani a sinistra, destra, in alto e stop!” ma niente di più.
Simpatici e divertenti, non mi sono piaciuti.
Discostandosi dagli artisti ufficiali, ho avuto anche il piacere di ascoltare tanti altri bravissimi musicisti di vari strumenti, di cui però non conosco il nome.
In particolare ho apprezzato molto l’esecuzione di Emma Mumi, giovane suonatrice di Echosound, che ha partecipato in passato al Disco Armonico Raduno nell’Associazione Arti e Tradizioni.
È riuscita a coinvolgere molte persone che sono rimaste affascinate dal suo tocco delicato assieme alla sua voce, una jam sassion molto buona, che ha visto coinvolti altri suonatori di hand pan, tra cui Koji Matsumoto e Amaury Werquin agli Halo.

Insieme ai concerti serali un gruppo di fachiri mangiafuoco apprendisti e professionisti, juggler di vario genere e ballerini si esibivano nei pressi del palco, permettendo la possibilità di ascoltare il concerto e osservare diversi tipi di esibizioni.

Come tutti i festival gran parte della sua riuscita grava sul senso civico delle persone che è stato a mio avviso molto presente:
La superficie del festival era molto pulita, con un piccolo servizio di raccolta differenziata e piatti e posate in cartone anziché in plastica, i bagni a mio avviso erano troppo pochi per il numero di persone, con conseguente fila durante tutto il giorno che, sommata alla struttura dei sanitari (assi di legno con un buco con un secchio sotto) avrebbero potuto rappresentare un problema per i più schizzinosi e/o impellenti, ma che comunque venivano svuotati e ricaricati di carta regolarmente.
Un’altra pecca era la scarsità di rubinetti di acqua potabile gratis (due in tutto il festival) e la scarsa illuminazione: quando le bancarelle chiudevano rimanevano solo le stelle (coperte dalle nubi) e le luci delle tende arabe in lontananza ma che comunque, per uno spirito festaiolo, contribuivano all’atmosfera generale.

A differenza del parere di alcuni individui, oramai anziani (ndr), il festival offriva una buona qualità ed igiene gastronomica per tutti i gusti (quasi tutta cucina vegetariana o vegana) a prezzi, non sempre, moderati:

1 – 3.50 euro per un tè a seconda della bancarella e del servizio.
5 euro per un piatto di noodles vegetariani.
4 euro per 33 cl di succo di frutta…
2 – 3.50 euro per una crepe.
8 euro per un shisha mediocre.
180 euro per un khomus che mi sarei volentieri comprato.
Etc.

In più un sistema di riutilizzo di bicchieri di plastica con versamento di una garanzia di 2 euro aggiuntivi restituibili alla fine del festival.

È facile comunque incontrare flessibilità e simpatia da parte dei commercianti, come l’iniziativa di bicchieri di tè Chai gratis dopo una certa ora della notte.

Un’altra pecca è la lingua: strettamente francese.
Tutte le informazioni all’interno del festival sono in francese, senza traduzione in inglese, non che sia di vitale importanza, ma potrebbe essere un problema, sopratutto per i discorsi degli animatori e dei musicisti sul palco.

Tornando all’igiene, i bagni del festival sono molto spartani, si è costretti a fare scorte di acqua se non si vuole andare avanti a tè (come ho fatto io) e le docce sono situate al campeggio comunale, situato a 2 km dal festival, attraversando un paio di strade senza marcapiede.

Una parola va spesa anche per il divieto di vendere o possedere alcolici o bottiglie di vetro qualsiasi:

È una scelta inusuale, che potrebbe far storcere il naso a molti e far impanicare altri, personalmente non è stato per niente un problema, anzi, il livello di gente collassata o devastata era veramente basso, quasi a zero.
Per me questo divieto ha permesso di creare un’atmosfera più rilassata e calma, senza casinisti, senza paura di vetri rotti e ha contribuito alla perfetta pulizia del suolo.
Una scelta che che ha sorpreso tutte le mie aspettative al riguardo.
Dato l’ambiente del festival ed il tipo di gente che lo frequenta, mi sentirei di rassicurare chi volesse portare il proprio pargolo:
Sono disponibil tende smoke-free con giocattoli per i più piccoli, enormi distese erbose dove giocare e classiche installazioni da parco giochi, scivoli etc etc.

Per i non fumatori, attenzione: a parte per un paio di tende smoke free per bambini, si può fumare in tutta l’area del festival, comprese le tende arabe, il che significa enormi cappe di fumo.

Un festival consigliatissimo a tutti gli amanti del genere, da chi ama stare sveglio tutta la notte a suonare a chi preferisce farsi una piccola vacanza un po’ diversa.

Di seguito alcune foto:


Ed infine, io con i compagni d’avventura Emma Mumi e Fabri Masloboev riparati dopo un acquazzone mica da ridere:

Fabio Goldaniga

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